Ecco un nuovo nome da tenere in considerazione per proseguire la compilazione di un’ideale mappa della crescente diffusione in Italia dei linguaggi del minimalismo neoclassico: è quello dell’emiliano Gianluca Piacenza, musicista che al pari di altri “colleghi” proviene da una formazione classica ma fortemente interessato alla combinazione delle note del suo pianoforte con accenni elettronici e con particolari soluzioni di registrazione.

Vi è però di più nelle coordinate artistiche che hanno presieduto alla realizzazione del suo primo lavoro, emblematicamente intitolato “Dream”, ovvero l’apertura intellettuale di Piacenza alle interpretazioni contemporanee della “modern classical” di compositori quali Max Richter, Nils Frahm, Dustin O’Halloran e altri ancora, considerate su un piano del tutto paritetico rispetto ai suoi trascorsi accademici.

Sulla base di tali presupposti tecnico-concettuali hanno preso forma i cinque brani raccolti in “Dream”, che del profilo dell’artista emiliano forniscono una prospettiva al tempo stesso semplice e composita: il primo aggettivo è senz’altro riferibile all’essenzialità dell’approccio compositivo, incentrato pressoché esclusivamente sul pianoforte, mentre il secondo attiene agli incastri e alle progressioni armoniche realizzate sul suo strumento, nonché alla varietà di sensazioni evocate dai brani.

In poco più di trenta minuti, “Dream” spazia infatti dalla consistenza soffice e, appunto, sognante, delle scorrevoli melodie della title track all’austera concretezza del reale di “This Is Real”, dalla danza leggiadra delle note rilucenti come gocce di rugiada di “Reflections” alla cullante delicatezza della conclusiva “Lullaby”. Il ruolo dell’elettronica, pur percepibile, è rivestito da semplici effetti digitali, spesso applicati in presa diretta sulle registrazioni e comunque tanto misurati da delimitare soltanto lo spazio sonoro entro il quale risuonano le note o da costituire diafane filigrane ambientali come quella che apre gli oltre nove minuti in crescendo di “Mutations”.

E proprio alla mutazione continua, alla fuggevolezza dell’istante, pare improntata la tavolozza di Gianluca Piacenza, che in “Dream” dimostra un’intrigante attitudine a coniugare linguaggi e mezzi espressivi, non limitata a una generica impostazione “cinematica”, bensì tale da poter stimolare in contemporanea corde intellettive ed emozionali.